E se i batteri mangiassero la plastica?
I polimeri plastici hanno attraversato nella loro breve storia moltissimi scenari diversi, che li hanno visti passare da materiale osannato per le sue indubbie doti applicative a peggior nemico dell’ambiente e della salute del pianeta.
Oggi la plastica rimane una delle materie più utilizzate in tantissimi rami dell’industria mondiale. In particolare nel packaging e nel settore delle etichette, le sue applicazioni sono ancora moltissime, anche per via del fatto che offre delle performance eccellenti in termini di fattori come economicità, resistenza, impermeabilità.
Ma qual è il suo futuro? È necessario che la plastica scompaia definitivamente dalle nostre vite per preservare il nostro pianeta oppure è possibile trovare delle soluzioni che consentano di limitare il suo impatto ambientale?
Il futuro: nuovi studi scientifici
La ricerca scientifica sta lavorando da tempo, e con risultati sempre migliori, alla risoluzione del problema dello smaltimento delle plastiche. Sono state elaborate tecnologie sempre più performanti per il riciclo, e materiali sempre più in grado di mantenere una buona qualità anche dopo diversi cicli di riconversione.
Un tema particolarmente complesso è quello dell’abbandono di rifiuti plastici nell’ambiente: una bottiglietta abbandonata sulla spiaggia, per esempio, è in grado non solo di resistere per un tempo lunghissimo senza degradarsi, ma soprattutto di creare dei problemi all’ecosistema, in quanto spesso gli animali selvaggi si ritrovano a ingerire microparticelle di plastica, se non a restare intrappolati tra i rifiuti.
Un progetto molto interessante arriva dal Geomar Helmholtz Center for Ocean Research di Kiel e dall’Università di Kiel, in Germania: un team di ricercatori sta infatti studiando la possibilità di selezionare delle comunità batteriche che siano in grado di degradare le plastiche.
In questo modo, i batteri contribuirebbero a tenere pulito l’ambiente, con lo stesso principio per il quale vengono impiegati nel trattamento delle acque reflue.
Al momento la ricerca sta lavorando non sulla ricerca di una singola specie di batterio in grado di degradare la plastica, ma sullo studio di interi ecosistemi batterici che si trovano in ambienti dove è facile che entrino in contatto con la plastica, come nello stomaco dei pesci o sul fondale del mare: se una comunità di batteri dimostra di saper degradare la plastica, viene selezionata in laboratorio e portata avanti nello studio, in modo da selezionare via via l’ecosistema con le capacità migliori.
In futuro, quindi, molti altri materiali plastici potrebbero diventare biodegradabili.
Il presente: l’economia circolare
Se un packaging in materiale plastico riesce a trasformarsi da rifiuto in risorsa, la sua sostenibilità non verrà messa in discussione. La capacità di selezionare materiali polimerici o processi industriali che siano in grado di portare le plastiche a rispettare i criteri dell’economia circolare è oggi determinante per l’utilizzo di questo materiale.
La plastica, infatti, non è necessariamente nemica dell’ambiente: possiamo dire che una sua gestione scorretta comporti dei gravi danni al pianeta, ma ad oggi esistono già diversi processi e moltissime conoscenze applicabili per rendere ecologica anche la plastica. Nel settore delle etichette, per esempio, la riciclabilità di un packaging è legata alla scelta della giusta combinazione dei suoi componenti: è necessario studiare non solo il materiale con cui viene fatta l’etichetta, ma anche l’adesivo scelto per applicarla e il materiale della confezione su cui si applica. Da una combinazione virtuosa di questi tre fattori, si può ottenere un packaging perfettamente sostenibile anche se fatto di polimeri plastici.
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Fabrizio Bonaccorso CEO